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Dalla bottiglia al pile: nel cuore della Campania un’eccellenza del riciclo | Video

Ci sono storie che meritano di essere raccontate. Se ad esempio in una terra martoriata da criminalità ed ecomafie, ci fosse un’industria che si impegna proprio nel settore dei rifiuti per poter riciclare i materiali e sottrarli alla discarica, ecco quella ad esempio sarebbe una storia che avrei voglia di raccontare.

DSC_0029Ci troviamo ad Aversa, in provincia di Caserta. Uno di quei tanti comuni colpiti dalla tragedia della Terra dei Fuochi, ed è qui che nel 2000 nasce Erreplast azienda che, in poco tempo, riesce a diventare tra i principali produttori italiani di Pet da riciclo.

Ma cos’è il PET? È una sigla che sta per “polietilene tereftalato”, una parolona che indica sostanzialmente la plastica (almeno il tipo più diffuso) che ritroviamo nelle bottiglie, nei tubi, nei contenitori o nelle etichette. È decisamente uno dei materiali più utilizzati dalla nostra società e, di conseguenza, uno dei più gettati.

 DSC_0011-1Sono decine e decine di migliaia le tonnellate di PET che vengono prodotte ogni anno dalle città della Campania e parte di queste vengono intercettate proprio da aziende come la Erreplast che letteralmente acquistando i rifiuti dalle amministrazioni consentono non solo di ridurre drasticamente l’impatto ambientale dei rifiuti, ma anche di far entrare denaro nella stanche casse dei comuni. L’Erreplast è infatti un’azienda, non una Onlus, inserita nel circuito Conai: i rifiuti vengono acquistati, lavorati, ed il prodotto ottenuto (al 90% poliestere) viene rivenduto alle aziende che ne ottengono imbottiture, pile, tappeti e quant’altro. Così facendo, si instaura un circolo virtuoso in cui guadagnano un po’ tutti: i cittadini che vedono ridotto il numero di rifiuti conferiti in discarica, le amministrazioni che smaltiscono i rifiuti guadagnando e l’azienda che riesce a dare lavoro a circa 130 persone tra dipendenti, operai e dirigenti.

L’impianto è davvero poderoso. I macchinari lavorano instancabilmente riciclando 2.500 kg di Pet all’ora e circa 20.000 tonnellate all’anno con processi in parte automatizzati grazie a moderne tecnologie, in parte affidati DSC_0015all’insostituibile occhio umano. Grazie a questi macchinari i rifiuti vengono facilmente suddivisi in base al materiale, al peso, al colore e, grazie ad una speciale tecnologia in sperimentazione, ora si è in grado anche di separare le etichette delle bottiglie. Inoltre, il 35% del fabbisogno energetico dell’azienda è affidato ad un impianto fotovoltaico.

L’approccio della ditta è integrato nel senso che, sostanzialmente, tutto il processo di trasformazione avviene in loco ottendone un enorme vantaggio economico nonché ambientale visto che i materiali non devono essere spostati in giro per l’Italia per essere lavorati.

Insomma, lo ripetiamo, non stiamo parlando di una associazione di volontari, ma di un esempio funzionante di greeneconomy italiana. È un’azienda nata da imprenditori che hanno saputo trovare il mestiere giusto in un periodo di grave crisi ambientale, dimostrando ancora una volta come i rifiuti possano davvero trasformarsi in una risorsa.

Matteo Nardi

Giornalista ciclista. Scrivo di ambiente e tecnologia